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La crisi della vecchia politica in Francia, in attesa di una novità

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Sono passati solo 11 mesi dall’elezione di François Hollande all’Eliseo e già si respira in Francia aria di fine regno. Secondo il barometro della TNS-SOFRES, appena il 27% dei cittadini francesi hanno fiducia nel proprio presidente. Mai, nella storia della Quinta Repubblica, un presidente era stato così impopolare a così pochi mesi dalla sua investitura.

La crisi economica, non devastante come nei paesi mediterranei, ma costante e capace di erodere a poco a poco la fiducia dei francesi, è uno dei fattori principali di impopolarità per Hollande: un capo di Stato che aveva promesso un netto cambiamento e una gestione economica all’insegna della redistribuzione. La presidenza hollandiana è stata poi indebolita dall’affaire Cahuzac: si è scoperto che il ministro del Bilancio era detentore di un conto segreto in Svizzera, usato secondo la procura di Parigi come strumento di frode fiscale. Il ministro aveva negato al suo stesso partito ogni coinvolgimento nella vicenda, per essere poi smentito dai fatti e provocare un gravissimo imbarazzo all’esecutivo e al presidente, impegnati nel frattempo a far digerire ai francesi nuovi inasprimenti fiscali.

Sarebbe tuttavia riduttivo spiegare le difficoltà di Hollande sulla base della semplice congiuntura economica e giudiziaria. La crisi di consenso rivela infatti le debolezze dovute all’assenza di una strategia politica di lungo periodo e alla scarsa capacità di costruire un’alternativa strutturata alle classiche misure di spesa pubblica che ora non è più possibile adottare per colpa della crisi. L’hollandisme è infatti una forma di pragmatismo politico fondata sulla ricerca del compromesso e sul rifiuto delle lacerazioni. In questo, il presidente in carica si iscrive nella miglior tradizione radical-socialista della Quarta Repubblica, ben presente nella quotidianità politica del suo feudo di elezione, la Corrèze, nel cuore profondo della Francia rurale.

La ricerca del compromesso, la volontà del presidente di trovare un equilibrio nel punto mediano su ogni dossier, rischia tuttavia di produrre effetti perversi. Si prenda ad esempio la politica di bilancio: durante la campagna elettorale il candidato Hollande aveva promesso che sarebbe stato in grado di far ripartire la crescita economica senza tuttavia rimettere in discussione gli ambiziosi obiettivi di bilancio sottoscritti dal precedente governo di centrodestra Fillon. Così facendo, Hollande aveva vellicato gli umori dell’elettorato socialista, tradizionalmente favorevole a politiche espansive, ed era riuscito a tranquillizzare anche gli elettori centristi e della destra UMP, da sempre attenti all’equilibrio budgetario.

Nell’esercizio del potere, sotto la pressione dei mercati finanziari, il presidente è stato tuttavia costretto a virare e ad adottare una politica economica unicamente restrittiva che si è tradotta nei tagli di bilancio più importanti degli ultimi 20 anni. L’austerità, che Hollande denunciava in Europa ma che era costretto ad applicare in Francia, ha deluso l’elettorato socialista e non è servita nemmeno a riconquistare l’elettorato conservatore, in ogni caso scontento per il “nuovo” corso delle cose. L’ambizioso obiettivo del 3% di deficit per il 2013 non è stato infatti raggiunto a causa del costante aggravarsi della crisi.

Di fronte alla perdita di capacità di manovra politica in politica economica, il Partito socialista ora guidato da Harlem Désir (parigino, di padre martiniquese), per ricompattare il nocciolo duro del proprio elettorato ha puntato nelle ultime settimane sull’ampliamento della sfera dei diritti civili, a cominciare dalla legge sul matrimonio omossessuale. La tattica socialista è chiara: visto che non è possibile polarizzare gli elettorati sulle questioni economiche, la principale dimensione di differenziazione politica diviene quella che i politologi chiamano il “liberalismo culturale”, gli usi e i costumi sociali. Su questo punto, in un primo momento, la polarizzazione è riuscita: l’elettorato socialista e verde è stato galvanizzato mentre l’opinione pubblica più schierata a destra si è radicalizzata.

Tuttavia, le diffidenze esternate da Hollande a più riprese rispetto al matrimonio omosessuale hanno portato ad un duplice effetto: da un lato si sono raffreddati gli elettori socialisti e, dall’altro, non si è comunque riusciti a frenare l’antagonismo dell’elettorato conservatore. Al contrario, il tema del matrimonio omosessuale è diventato il grande laboratorio in cui si sta provando il riavvicinamento tra la destra lepenista e quella UMP, grazie alle grandi mobilitazioni di piazza organizzate con il contributo delle strutture locali dei due partiti.

L’affaire Cahuzac ha colpito inoltre l’ultima bandiera hollandista, la “République irréprochable”, la Repubblica moralmente inattaccabile. La probità, l’onestà, la normalità rispetto all’eccitazione e alla tracotanza tipica dello stile del predecessore, Nicolas Sarkozy, erano infatti il marchio di fabbrica dello stile di Hollande – e tra le parole d’ordine più ripetute in campagna elettorale – la cui presa sulla cittadinanza oggi è fortemente compromessa.

La frana dell’hollandismo apre scenari inesplorati: la destra infatti sembra beneficiare solo in minima parte dalle difficoltà della gauche. Pesano ancora i segni della guerra fratricida Copé-Fillon sul destino dell’eredità politica dell’ex presidente Sarkozy. Il primo ha finito per prendere il controllo dell’UMP, mentre il secondo minacciava una scissione che infine è rientrata. Sarkozy è tornato ad essere favorito, dai sondaggi, in un eventuale confronto a due, e deve certo la sua ritrovata popolarità alla mobilitazione dello zoccolo duro della destra – anche se appare incapace di allargare il suo campo elettorale.

In questo scenario, in cui la sinistra frana e la destra resta a guardare, sullo sfondo di una crisi morale ed economica di portata inaudita, cresce il malessere, il disincanto e l’esasperazione. Sono tutti elementi che costituiscono il terreno di coltura per l’estrema destra lepenista: nessun’altra formazione appare capace, al momento, di approfittare delle difficoltà in cui si dibattono i due partiti principali.

Eppure anche la forza propulsiva del Fronte nazionale sembra inadeguata rispetto alla gravità del momento e allo sconforto diffuso. Manca un’offerta politica di aperta protesta e di cambiamento – e certamente il changement promesso da Hollande non è percepito dall’elettorato. L’imprenditore politico che saprà quindi interpretare il clima e gli umori di questa fase potrebbe dare il colpo di grazia al sistema politico francese. Mai come oggi, a Parigi sembra valida la frase di Gramsci tanto amata da Henri Guaino, il maître à penser della destra gollista: una fase di cambiamento è un momento in cui “il vecchio muore e il nuovo stenta a crescere”.