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Le migrazioni come strategia di investimento: verso nuovi approcci

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La crisi migratoria, oggi più che mai, sta animando il dibattito politico in Europa. Un dibattito concentrato sempre più su come limitarne i flussi entranti e gestire quelli inevitabilmente già approdati sul territorio europeo; o come gestire le ansie e paure degli europei.

Molti di noi hanno dimenticato cosa significa accettare una scommessa assai cara col destino ed inseguire la speranza di una vita migliore altrove. Una grossa fetta di questi temerari provengono oggi dal continente africano, un continente in corsa che sta bruciando le tappe e che ha quanto mai una legittima fame di progresso e opportunità.

Mentre la migrazione è comunemente vista come il risultato della povertà e della violenza nei paesi di origine, la ricerca mostra che una crescente prosperità nei paesi poveri aumenta la migrazione e che il livello di migrazione è in gran parte determinato dalla domanda di lavoro nei paesi di destinazione.

È importante notare che la traversata attraverso il deserto e poi il Mediterraneo può costare fino a 60 volte il salario del migrante. Quei 5-10,000 euro dati ai trafficanti per il viaggio rappresentano un vero e proprio investimento. Migrare rappresenta una strategia di investimento per intere famiglie. Investimento spesso ottenuto attraverso non solo risparmi, ma anche prestiti familiari o debiti presso banche locali; risorse che, se ci fossero condizioni adeguate, potrebbero essere altrimenti investite. Si tratta spesso dunque di potenziali imprenditori che, in condizioni adeguate, potrebbero investire la stessa energia, capitale e coraggio in un business in Africa e contribuire attivamente alla creazione di più posti di lavoro.

Si tratta di cifre enormi. Secondo alcune stime[1], dal 2000 migranti e rifugiati hanno pagato a scafisti abusivi e trafficanti oltre un miliardo di euro per raggiungere l’Europa.

Ma allora perché questi imprenditori mancati investono nell’incognita, spesso fatale, del viaggio attraverso il Mediterraneo? Oggi il continente africano è in pieno boom demografico. Con più di due terzi della sua popolazione sotto i 35 anni, l’Africa è la regione più giovane del mondo. La popolazione giovanile in Africa è inoltre destinata a raddoppiare entro il 2045[2]. Undici milioni di giovani africani entreranno nel mercato del lavoro ogni anno per il prossimo decennio. Di fronte ad un continente europeo sempre più vecchio, questi numeri fanno invidia. Eppure la mancanza di opportunità di lavoro continuerà ad accrescere la pressione migratoria in molti paesi africani, che nonostante i tassi di crescita oggi in media superiori al 5%, non riescono a fornire abbastanza opportunità. Oltre alla tragedia umana di vite perse, l’esodo sta prosciugando il continente africano di capitale umano di grande valore, spesso anche altamente qualificato. Dietro il migrante si celano le aspettative di una famiglia, un clan a volte anche piccoli villaggi. Avere un parente all’estero significa una scommessa in un flusso di rimesse che potranno portare cambiamenti importanti nel livello di vita delle famiglie di origine; un investimento ad alto rischio dato che si può perderlo interamente in quel solo tragitto.

Questa “crisi” ci offre l’opportunità di porre nuove domande. Se si vuole frenare o quanto meno rallentare il flusso, i governi e la comunità dello sviluppo possono impegnarsi nel creare le condizioni necessarie a promuovere e mettere a frutto i talenti africani.

Il continente ha infatti bisogno di investire in capacità e imprenditorialità, fornire l’infrastruttura critica necessaria per gli investitori, e le riforme di norme che rendono oggi il business oneroso e complicato.

Come fare? Ad esempio, ripensando al tipo di sostegno che l’Europa può dare. In passato l’aiuto allo sviluppo si è affidato troppo spesso su strutture statali che hanno spesso promosso distorsioni di mercato. Queste strutture non hanno necessariamente favorito l’imprenditorialità ma il loro coinvolgimento e il conseguente indebitamento hanno spesso causato un innalzamento di tassi di interesse, oggi tra i più alti del mondo, e difficilmente sostenibili da un imprenditore in erba, e che si aggiungono spesso a problemi di governance ancora in gran parte irrisolti che rappresentano un vero freno allo sviluppo. Istituzioni troppo deboli e che non rendono conto ai propri cittadini.

Se si vuole dare una risposta forte, questa può passare attraverso un impegno più deciso e diretto allo sviluppo dell’imprenditorialità e del settore privato locale, quello stesso capace di generare una forte classe media, passaggio chiave nella creazione di un circolo virtuoso che favorisca uno sviluppo democratico e delle istituzioni accountable, tali proprio in seguito alla pressione della stessa classe media.

Per fare ciò però bisogna abbandonare la logica classica di tutti quegli strumenti di cooperazione che privilegiano il “ritorno in patria degli euro spesi in aiuto allo sviluppo”, mettendo piuttosto la creazione del tessuto imprenditoriale locale come un obiettivo primario. Ma anche di condividere esperienze e know-how. L’Italia in particolare ha molto da offrire, in termini di esperienza nel trasformare piccole imprese di famiglia in medie o grandi aziende altamente competitive.

Un altro aspetto da poter esplorare è rappresentato dall’aiuto allo sviluppo di mercati finanziari solidi e diversificati. Anche qui l’esperienza italiana può essere di notevole interesse. Il credito cooperativo, che ha costituito la dorsale finanziaria di numerose regioni italiane, è un modello assai interessante e che si adatta molto bene ad alcune realtà già esistenti, come il Sou-Sou in Africa Occidentale, un sistema di associazioni di risparmiatori, che si basa sul principio di contribuzioni regolari dei vari membri del gruppo, che vanno a rotazione a vantaggio dei vari membri. 

Infine non dimentichiamo che nel Sud del mondo oggi i maggiori flussi sono prima di tutto locali, che intercontinentali. Sul piano globale le Nazioni Unite nel 2013 hanno rivelato che ci sono più migranti provenienti da paesi in via di sviluppo che scelgono di migrare in altri paesi in via di sviluppo, rispetto a coloro che mirano a trasferirsi in economie avanzate[3].  Alcuni paesi dell’Africa occidentale, punto di partenza di una buona dose di miranti, rappresentano dei casi esemplari. Il Ghana ad esempio ospita quasi due milioni di migranti dai paesi limitrofi, che rappresentano il 7% della popolazione.

Riflettere su questa dimensione intra-regionale à assai importante, lavorare sul mismatch tra domanda e offerta non solo di lavoro ma di formazione è un punto di approdo assai promettete. Favorire le infrastrutture regionali, armonizzazione di sistemi pensionistici. Sostegno ad iniziative che promuovano, tra i paesi delle stesse regioni africane, la formazione (vocational training), ma anche scambi e formazione lavoro prendendo spunto dai programmi Erasmus e Leonardo.

È inoltre decisivo lavorare sulla diaspora e sulle rimesse dei migranti, incentivando l’uso produttivo di queste fonti di reddito che oggi rappresentano un enorme flusso in entrata verso il continente africano: nel 2014 esso è stato di oltre 60 miliardi di dollari, oltrepassando i 56 dell’aiuto allo sviluppo e i 49 miliardi di investimenti diretti[4].

Infine la crisi della migrazione può esser un’opportunità ulteriore per ripensare la politica agricola comunitaria (PAC), in vista dell’impatto negativo che la pletora di sussidi agli agricoltori e le barriere tariffarie e non, comportano al continente africano e alle sue imprese agricole, come è stato evidenziato da varie ricerche[5].

In sunto, l’attuale crisi è un’opportunità per ripensare il nostro approccio verso i paesi in via di sviluppo. Il fenomeno migratorio è una costante nella storia dell’umanità. Una costante che ha accompagnato lo sviluppo di tutti i grandi paesi. I flussi migratori non devono essere visti come un problema da risolvere, ma un fenomeno da guardare a fondo e su cui sviluppare strategie e risposte integrate. Un punto di partenza essenziale è comprendere che a monte c’è una strategia di investimento familiare in risposta a contesti che non hanno capacità di offrire valide alternative, e lavorare dunque su questi contesti e sull’aiuto a strategie di investimento diverse. Una migliore comprensione delle cause fondamentali della migrazione, e una risposta più diretta ed efficace a queste sfide, ci permetterà di promuovere politiche adeguate anche per gestire l’emergenza di oggi. 


[1] www.migrantsfiles.com

[2] Africa Development Indicators 2008/2009 “Youth Employment in Africa: The Potential, the Problem, the Promise”. World Bank

[3] OECD-UNDESA, World Migration in Figures, 2013

[4] Ernst and Young, Africa Attractiveness Survey, 2015

[5] ODI, Making the EU Common Agricultural Policy coherent with development goals, 2001