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La ‘Belt and Road’ in chiave italiana e la strategia cinese sui porti europei

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Con il Memorandum of Understanding siglato il 22 marzo, Italia e Cina hanno espresso l’intenzione di collaborare nello sviluppo della connettività infrastrutturale in settori di reciproco interesse, tra cui il settore dei porti, nel più ampio quadro della ‘’Nuova via della Seta’’.

L’interesse italiano per la “Nuova via della Seta” non è nuovo: il nostro Paese guarda da anni con grande interesse alla grande iniziativa infrastrutturale e commerciale portata avanti dalla Cina. Nel 2017, ad esempio, il premier Paolo Gentiloni prese parte al forum ‘One Belt one Road’ di Pechino, dichiarando l’interesse dell’Italia nel «far sì che questa occasione venga colta» in quanto «ci sono infrastrutture da realizzare insieme e grandi opportunità per i nostri porti nella via della seta marittima». Infatti, il progetto cinese si articola in percorsi diversi tra i quali non manca una rotta via mare, lunga e complessa. Al fine di comprendere meglio il contesto, e gli interessi italiani  ed europei nell’intercettare il progetto di Pechino, è utile ricostruire una panoramica della strategia cinese nei porti del Vecchio continente.

Innanzitutto, va ricordato che i porti rappresentano una risorsa vitale per la competitività dell’economia europea. Oltre il 70% delle merci che giungono nel continente viaggiano via mare, ma non solo: in quelli che sono dunque la vera porta d’ingresso commerciale d’Europa sono impiegate 1,5 milioni di persone e transitano merci del valore di 1,700 miliardi di euro.

In questo quadro, i porti europei attirano da anni l’attenzione della Cina, anche nell’ambito della ‘Belt and Road’. Se il ‘Belt’ comprende le vie di trasporto terrestri attraverso l’Eurasia al fine di collegare la Cina con l’Europa, la Russia e il Medio Oriente, la ‘Road’ si riferisce, infatti, alle rotte marittime che partono dalla Cina alla volta dello Sri Lanka, del Pakistan, del Medio Oriente, dell’Africa orientale e, attraverso il Mediterraneo, dell’Europa.

In questo contesto, nel corso dell’ultimo decennio imprese private e statali cinesi hanno acquisito partecipazioni in otto porti marittimi in Belgio, Francia, Grecia, Italia, Paesi Bassi e Spagna. In quanto unico investimento portuale multimiliardario in Europa, l’acquisizione di un contratto di locazione di 35 anni del porto del Pireo in Grecia da parte della China Ocean Shipping Company (COSCO, la compagnia di stato cinese che dispone di oltre 800 navi), ha certamente rappresentato il progetto di punta della Cina in questo campo. Nel 2008, COSCO ha firmato un accordo con l’Autorità Portuale del Pireo per gestire due dei tre terminali del porto. In successivi accordi, COSCO è diventata il principale stakeholder dell’Autorità Portuale del Pireo, che gestisce il terzo terminal del porto.

Dalla sua acquisizione da parte di COSCO, il porto del Pireo ha conosciuto una crescita molto forte, sia grazie alle nuove tecnologie impiegate, sia grazie all’espansione delle sue infrastrutture. In sei anni, il traffico portuale è cresciuto, infatti, di oltre il 300%. Con una nuova gestione e con milioni di euro spesi per espandere la capacità portuale, COSCO mira a fare del Pireo uno dei porti più trafficati d’Europa. Questo importante investimento riflette il fatto che la Cina considera strategiche le regioni dell’Europa meridionale e orientale. L’investimento del Pireo si estende, infatti, oltre il porto stesso, in quanto la Cina prevede anche di costruire la ‘Land-Sea Express Route’, una rete di collegamenti ferroviari dal porto ai Balcani occidentali e all’Europa settentrionale.

Gli investimenti della COSCO hanno portato il Pireo dal 98° al 36° posto tra i porti container mondiali per volumi di traffico, e tra i primi dieci porti europei

 

Nel 2013 il porto del Pireo è stato collegato al sistema ferroviario greco, ma gli attuali collegamenti ferroviari nella regione hanno meno tratte, sono a bassa velocità e non permettono di accomodare treni più grandi. Da qui la necessità di una nuova infrastruttura per collegare il Pireo con i Balcani occidentali e l’Europa settentrionale. Un’infrastruttura che potrebbe rivoluzionare le rotte commerciali europee: rispetto alle rotte marittime esistenti, che circumnavigano lo Stretto di Gibilterra per arrivare ai grandi terminali in Nord Europa, la linea espressa terra-mare potrebbe effettivamente ridurre di 8-12 giorni i tempi di consegna delle merci cinesi sul continente europeo.

Questi piani per aumentare la connettività ferroviaria hanno attirato grandi imprese verso il Pireo. Hewlett Packard (HP), Hyundai e Sony hanno deciso di aprire centri logistici nel Pireo e di utilizzare il porto come centro di distribuzione primaria per le spedizioni verso l’Europa orientale e centrale, nonché verso l’Africa settentrionale. La decisione di HP di trasferire le sue operazioni dal porto di Rotterdam al Pireo indica che, con l’ampliamento dei collegamenti ferroviari e merci, il Pireo potrebbe davvero rappresentare un’opzione più economica e più praticabile rispetto ai porti del Nord Europa.

Anche se il porto di Rotterdam manterrà probabilmente il suo primato di porto più trafficato d’Europa, il porto del Pireo è, dunque, destinato a continuare a registrare una ripresa delle attività dopo il completamento di altri progetti. E con il Pireo, anche i porti italiani dell’Alto Adriatico, come Ravenna, Venezia e Trieste, potrebbero rientrare nel grande disegno cinese. Non è un caso che la Cina guardi con particolare attenzione all’opportunità di collaborare con questi porti, e all’opportunità di investirvi. E non è un caso che proprio nel febbraio scorso sia stato siglato, ad Atene, un memorandum d’intesa tra il porto del Pireo e il porto di Venezia finalizzato a potenziare i rapporti e i traffici bilaterali. Un memorandum che si somma ad un precedente accordo siglato tra le due parti per stabilire un collegamento settimanale Pireo-Venezia.

Nuove rotte merci richiederanno nuovi centri di stoccaggio e di spedizione e porteranno un maggior numero di attività nell’Europa sudorientale. La ‘Land-Sea Express Route’, insieme ad altri progetti ‘Belt and Road’, è quindi destinata a rafforzare il ruolo dei paesi dell’Europa meridionale e orientale nelle rotte commerciali continentali. Da parte loro, Ungheria, Serbia e Cina hanno ad esempio già firmato un piano trilaterale per la costruzione di una nuova linea ferroviaria tra Budapest e Belgrado, finanziato con prestiti della Export-Import Bank of China.

Di fronte a questi importanti sviluppi, l’Unione Europea rimane divisa sull’atteggiamento da adottare rispetto alla ‘Belt and Road’. Ad oggi, solo 11 Stati membri dell’UE hanno aderito ufficialmente all’iniziativa. Sebbene la maggior parte di essi riconosca l’importanza crescente delle relazioni politiche ed economiche tra l’Unione Europea e la Cina, permangono riserve sulle motivazioni della Cina alla base della BRI, e sull’impatto che avrebbe sui mercati interni.

Ad esempio, nonostante il suo sostegno a una maggiore cooperazione tra Europa e Cina, il presidente francese Emmanuel Macron ha espresso le sue esitazioni sul progetto, affermando che le nuove ‘strade non possono essere quelle di una nuova egemonia’ e ‘non possono essere a senso unico’. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha assunto una posizione simile, spingendo per la reciprocità e dichiarando la sua preoccupazione che le relazioni economiche siano legate a questioni politiche. Nel 2017 il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha, da parte sua, proposto un nuovo quadro comunitario per lo screening degli investimenti diretti esteri, sostenendo che ‘se un’impresa estera, di proprietà statale, vuole acquistare un porto europeo, parte delle nostre infrastrutture energetiche o una società di tecnologia della difesa, ciò dovrebbe avvenire solo in trasparenza, con scrutinio e dibattito’.

A differenza di Francia, Germania e Commissione europea, la Grecia ha accolto calorosamente gli investimenti cinesi, con il suo primo ministro Alexis Tsipras che afferma il desiderio della Grecia di ‘servire da porta d’ingresso della Cina in Europa’. Tuttavia, questo entusiasmo economico pare avere un costo politico, se si pensa che proprio nel 2017 la Grecia ha posto il veto su una dichiarazione dell’Unione Europea in merito alle violazioni dei diritti umani in Cina. Sviluppo che ha chiaramente alimentato ulteriormente il timore che la Cina utilizzi la ‘Belt and Road’ per esercitare una chiara influenza politica sui paesi coinvolti.

Il ‘divide et impera’ sembra ritornare anche nella strategia cinese del 16+1. 16 paesi dell’Europa centrale e orientale (tutti Stati membri dell’Unione Europea, o candidati ufficiali dell’Unione stessa) sono stati raggruppati da Pechino in una struttura di collaborazione economica, tecnica e infrastrutturale – a riprova della consapevolezza, da parte cinese, dell’importanza dell’armonizzazione degli interessi nazionali nella cooperazione macro-regionale. E’ un’iniziativa malvista dagli altri Paesi UE, che vi intravedono un ennesimo tentativo di minare l’unità europea.

Questo quadro offre un’idea della complessità economica e geopolitica della strategia cinese nei porti europei, e della BRI più in generale.