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La Tunisia in movimento: sfide sociali ed equilibrio politico

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Libertà individuali e uguaglianza. A quasi sette anni dallo scoppio della “Rivoluzione dei Gelsomini”, questi temi al centro della rivolta ancora animano la società tunisina. Le dinamiche sociali si stanno infatti nuovamente polarizzando, e il paesaggio politico nazionale continua la sua ridefinizione, in attesa delle elezioni parlamentari e presidenziali del 2019.

Nei prossimi giorni approderà in Parlamento la proposta di legge redatta dalla Commissione delle libertà individuali e dell’uguaglianza (Colibe), un corpo extra parlamentare guidato dalla storica attivista femminista Bochra Belhaj Hmida. È a lei che il 13 agosto dello scorso anno – giorno in cui in Tunisia si celebra la festa della donna – il presidente Beji Cai Essebsi ha chiesto individui le riforme necessarie per avanzare nella tutela dei diritti umani e civili, come previsto dalla Costituzione post rivoluzionaria del 2014.

Bochra Belhaj Hmida

 

Dopo dieci mesi di intensi lavoro, a giugno la Colibe ha consegnato al presidente il suo rapporto di 235 pagine, chiedendogli di impegnarsi – tra le altre cose – per la depenalizzazione dell’omosessualità, l’abolizione della pena di morte e l’uguaglianza tra uomo e donna in questione di eredità. È quest’ultimo tema quello che sta creando maggiore dibattito nella politica e nelle strade tunisine, soprattutto dopo che il presidente – in occasione dell’ultimo giorno della festa della donna – ha annunciato di volere dare seguito alle raccomandazioni della commissione, impegnandosi a introdurre una legge proprio sull’eredità.

La norma che attualmente regola tale questione risale al 1956, quando il presidente Habib Bourghiba emanò il codice sullo statuto personale: era una legge progressista che già impediva la poligamia e garantiva alle donne il diritto al divorzio. Sebbene tale codice fece di Bourghiba il paladino dei diritti delle donne musulmane, in quegli anni il presidente non ebbe il coraggio di affrontare anche il complicato tema dell’eredità, richiamando quasi alla lettera i principi della legge islamica che ritengono l’eredità una questione che riguarda la famiglia allargata del defunto, e non solo quella creata da lui con il matrimonio.

Un’interpretazione restrittiva della sharia porta a concludere che alle donne spetta solo la metà della parte degli uomini. Nei fatti però le cose sono più complesse e il diritto islamico, prendendo in considerazione anche chi si assumerà carichi e obblighi finanziari fino ad ora svolti dal defunto, descrive dettagliatamente il modo in cui deve essere distribuita. Ci sono casi in cui donne e uomini hanno la stessa quota. Nella maggioranza dei casi però, il momento della separazione dei beni è ancora gestito in modo grossolano e misogino e nei fatti le donne ereditano quasi sempre la metà di quanto incassano gli uomini.

Cercando di riuscire dove Bourghiba fallì, Essebsi ha quindi annunciato la sua volontà di trovare una soluzione per conciliare la religione con quei principi costituzionali che prevedono l’uguaglianza tra uomo e donna. Seguendo la traccia redatta dalla Colibe, il presidente ha proposto quindi un compromesso: le famiglie che vorranno fare la divisione seguendo i principi della sharia saranno ancora liberi di farlo, ma chi non ha intenzione di seguire la legge islamica potrà ricorrere a quella legge civile, dividendo l’eredità in egual parte tra uomini e donne.

Questa soluzione, per ora solo ventilata dal presidente, non mette comunque tutti d’accordo. Anche se alcuni saggi della moschea di Al-Zeituna (massima autorità religiosa in Tunisia) hanno partecipato ai lavori della Colibe, dal Cairo ha tuonato Al-Azhar (massima autorità dell’Islam sunnita) che ha definito la proposta della Colibe contraria ai testi del Corano. Cavalcando tali dichiarazioni e le manifestazioni di strada contro la parità, il consiglio della Shura del partito islamista di Ennahda (che governa il paese in coalizione con il secolare Nidaa Tounes) ha rifiutato la proposta di Essebsi, ritenendo forse troppo pericoloso il sostegno a una legge che difficilmente può trovare giustificazione nei testi sacri e che è comunque invisa al 63 % dei cittadini tunisini. Secondo un’indagine svolta dall’International Repubblican Institute, solo il 52% delle donne sarebbe a favore della parità.

Nonostante queste reazioni, Essebsi sembra intenzionato ad andare avanti. Non solo perché vuole passare alla storia come il successore di Bourghiba, ma anche perché stimolare un confronto acceso su questo tema, culturalmente divisivo, li potrebbe distrarre da altre questioni – a cominciare dalla non facile situazione economica  – sulle quali si potrebbero giocare le prossime elezioni.

Il dibattito attorno a questa legge giunge infatti in un momento di cambiamento nello scenario politico, che coinvolge soprattutto il partito di Essebsi, Nidaa Tounes. A causa di uno scontro andato avanti per mesi tra il premier Youssef Chahed e l’ala del partito guidata dal figlio di Essebsi, a settembre il primo ministro è stato sospeso da Nidaa Tounes, ricevendo però il sostegno di una cinquantina di deputati compagni di partito che hanno abbandonato Essebsi, dando vita alla “Coalizione nazionale”. Il premier avrebbe comunque i numeri per sopravvivere a un voto di fiducia, ma a causa delle continue richieste di rimpasto di governo, molti temono che questo l’esecutivo di compromesso religioso-laico (Ennahda-Nidaa) che ha sottratto il Paese al baratro della polarizzazione sia ora agli sgoccioli. Per scongiurare la rottura è sceso in campo anche Rachid Ghannouchi, il leader islamista più influente nel Paese. Si è assunto lui il compito di tenere consultazioni con Essebsi e Chahed, per convincere il primo a non fare cadere questo esecutivo e il secondo ad approntare i cambiamenti necessari per fare arrivare il governo a fine legislatura.

In tale contesto, è complesso capire che fine farà il disegno di legge della Colibe. Essebsi potrebbe decidere di iniziare la discussione in aula per giocarsi il tutto per tutto, anche se il risultato del voto sarebbe too close to call. Infatti, anche se Ennahda avrebbe sulla carta i numeri per bocciare la legge, proclami della Shura a parte, diversi deputati islamisti sarebbero pronti a sostenerla. Un secondo scenario più complesso è quello che prevede modifiche al testo durante la sua discussione in aula, al fine di renderlo più accettabile dagli islamisti. Infine, non si può escludere che considerate le tensioni socio-politiche che attraversano il Paese, la discussione sul testo venga inserita in coda al calendario parlamentare, rischiando addirittura il trasferimento – eventualmente –– alla nuova legislatura.

Tutto dipenderà dalla creatività e dall’audacia dei leader politici tunisini. Negli ultimi anni non sono mancate le sorprese positive, e i  compromessi dell’ultimo minuto su questioni che erano state oggetto di battaglie estremamente accese.